“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Scomodiamo ‘Il Gattopardo’ e Tomasi di Lampedusa per parlare di mercato o meglio dell’evoluzione avuta dal mercato del beauty nell’arco degli ultimi anni. Che il consumatore sia profondamente mutato rispetto al passato è un dato di fatto. Vuole prodotti personalizzati e personalizzabili, sostenibili, che magari svolgano più funzioni al tempo stesso. Vuole poter sperimentare nuovi brand e vuole poter essere consigliato. Vuole poter spaziare dal marchio con il posizionamento premium al dupe. Il retail e l’industria stanno cercando di cambiare di conseguenza e lo fanno l’uno reclutando nuovi brand e allargando il proprio assortimento e l’altro acquistando, quando possibile, nuovi brand e puntando su nuovi mezzi di comunicazione. Ma stiamo davvero facendo tutto ciò che è possibile per non mantenere semplicemente lo status quo – si legga il giro d’affari – ma attirare nuovi consumatori? Vi facciamo un esempio. Complici i social, esplode il fenomeno delle acque profumate – chiunque abbia figli adolescenti o preadolescenti lo può confermare – che hanno un prezzo medio inferiore ai 30 euro, ma la profumeria continua a vendere eau de toilette ed eau de parfum a un prezzo medio che supera i 150 euro. È vero, adolescenti o preadolescenti non sono il target di riferimento del selettivo, ma è così sbagliato offrire anche un prodotto che magari ha una marginalità contenuta ma può generare traffico oggi e nel tempo? “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, scriveva Tomasi di Lampedusa, ma se cambia davvero solo un elemento della nostra equazione – il consumatore e il resto muta ma fino a un certo punto – forse il risultato non torna.
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