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Speciale Retail Anno Zero: Largo alla convergenza

Intervista a Giuseppe Segreto, Phd, Università degli studi di Siena dipartimento di scienze sociali, politiche e cognitive

In un’epoca di globalizzazione dei consumi e dei prodotti in che modo per un retailer è possibile sottrarsi all’omologazione attraverso la comunicazione?

Nello stesso modo in cui tutti i soggetti che fanno parte di un determinato contesto mettono in campo una proposta – che è di valore, in termini di marketing, ed è discorsiva, in termini di comunicazione – davvero distintiva: raccontando quindi la propria storia, o le proprie storie, in maniera autentica, costruendo un’identità di marca coerente e riconoscibile, istituendo una relazione vera con i propri clienti, coccolandoli, emozionandoli, insegnando loro qualcosa. Scegliendo quindi le immagini e le parole giuste – ma anche i materiali e i colori di un espositore in linea con l’etica e l’estetica della propria marca – per costruire un legame affettivo – e non più solo di natura informativa o di servizio – con le persone. Molti distributori sono riusciti a tal punto in questa impresa che hanno potuto lanciare con successo

le proprie marche private label. La chiave sta nella creazione, a partire dalla comunicazione, di un’esperienza d’acquisto piacevole e, per questo, memorabile.

Quali sono le caratteristiche di una comunicazione vincente in ambito retail?

Il retailer, oggi, grazie alla pervasività del digitale, ha potenzialmente a disposizione una mole di informazioni sui propri clienti neanche minimamente immaginabile fino a poco tempo fa. Ora, siccome uno dei prerequisiti di una comunicazione efficace è la conoscenza approfondita dei destinatari a cui si rivolge – dei loro valori,

dei loro bisogni, delle loro preferenze, dei loro linguaggi – diciamo che oggi un distributore ha, al suo arco comunicativo, molte più frecce che in passato. A patto, ovviamente, che le sappia utilizzare. Perché così come ha sempre meno senso offrire prodotti e promozioni uguali per tutti i clienti (ci sono clienti occasionali, clienti fedeli, clienti “dormienti”, con tutte le conseguenze commerciali del caso), anche i messaggi possono e devono essere sempre più personalizzati. I contenuti e il tono di voce della comunicazione, in altre parole, devono essere mirati, devono risuonare nei singoli consumatori a cui sono rivolti. Perché, oggi, i consumatori vogliono essere trattati innanzitutto come delle persone, come dei singoli individui e non come semplici acquirenti. E men che meno come target del marketing! Le persone poi sono sempre più assetate di informazioni sui prodotti che acquistano: vogliono sapere chi è il produttore, quali processi produttivi sono stati impiegati, qual è il modo più opportuno di consumare quel determinato bene (penso naturalmente al mondo del food o del vino, ma lo stesso si può dire di un profumo o di una crema per il corpo). Ebbene, il distributore che, attraverso una comunicazione trasparente, saprà rispondere in maniera per così dire naturale a queste domande di natura etica sarà ripagato con la fiducia e la fedeltà.

In che modo il digital ha cambiato le regole del gioco e quindi impatta e impatterà sul modo di comunicare del retail?

Il retail, oggi, è uno degli ambiti maggiormente interessati dalla trasformazione digitale. E non è un caso se una

delle aziende che ha conosciuto i maggiori tassi di crescita degli ultimi anni sia proprio Amazon, il brand che ha annullato la distanza tra il momento in cui si desidera qualcosa e quello in cui è possibile ottenerla. Se, perciò, fino a pochi anni fa, il negozio fisico era considerato una realtà separata dai processi digitali, oggi, questi due mondi distributivi – analogico e digitale – sono destinati a intersecarsi sempre di più, fino quasi a ibridarsi. E non è un caso

che Amazon abbia acquisito Whole Foods, una delle più importanti catene americane di supermercati, e abbia inaugurato le sue prime librerie “di mattone”. Se è vero, infatti, che fare acquisti dal divano di casa sta diventando sempre di più la norma – e con l’aumento dei nativi digitali sarà sempre di più così – è pure vero che, in alcuni casi, i consumatori preferiscono ritirare in store la merce acquistata online, oppure desiderano scegliere in negozio una certa tipologia di prodotto e ordinare online una sua variante specifica o, ancora, vogliono fare shopping online avendo però nel punto vendita più vicino a casa la possibilità di consegnare gli eventuali resi. Insomma, nell’era dell’omnicanalità e dell’everywhere commerce, il retail mantiene ancora un ruolo centrale all’interno del processo di acquisto: si tratta di sfruttarlo a livello sia organizzativo sia comunicativo. La convergenza, infatti, non riguarda solo le strategie commerciali – ti invio delle offerte personalizzate vie email per portarti in un punto vendita, ti offro un coupon tramite la App una volta varcata la soglia del negozio ecc. – ma anche quelle comunicative. La vetrina, per esempio, non è più solo quella del negozio fisico che si affaccia nelle strade ma è anche quella che si manifesta sugli schermi dei nostri computer, dei nostri tablet e dei nostri smartphone. Per questo sono necessari siti fatti bene, siti che abbiano un buon impatto estetico e, soprattutto, che garantiscano all’utente un’efficace esperienza d’uso. Per questo nessun distributore, grande o piccolo che sia, può fare a meno oggi di una strategia digitale. Perché la transazione vera e propria è solo una parte delle dinamiche conversazionali che è possibile instaurare fra venditore e acquirente lungo tutti i possibili punti di contatto, online e offline.

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