“Basta parlare di contrapposizione tra industria e distribuzione e basta parlare di partnership, parola mal tradotta e spesso “tradita”. Ciascuno ha delle responsabilità. Chi può dirsi esente da errori? Ne fanno l’industria e anche la distribuzione e la chiave del successo, nell’attuale mercato ‘isterico’ e in contra-zione, sta proprio qua: fare il minor numero di errori possibile! Per quel che ci riguarda, non lanciamo prodotti con l’intento di approfittare dei soldi e degli spazi che i nostri concessionari ci mettono a disposizione, e questo non solo per un motivo etico: lanciare prodotti costa tempo e denaro e nessuno può permet-tersi di sprecarli. Anche Dior ha fatto e probabilmente farà degli errori; ma questo sta nella natura di chi cerca di inventare nuovi prodotti e innovare quelli esistenti. Siamo però abituati a pren-derci la responsabilità economica di quello che non riusciamo a far funzionare al meglio. Mi piace però guardare i dati di vendita retail e constatare come molti dei nostri lanci/rilanci degli ultimi anni siano sempre tra i top seller, per esempio Dior Homme, Miss Dior, tutti i fondotinta Diorskin, Dior Addict Make Up”. La visione di Marcello Antonetti, brand general manager di Christian Dior, è chiara, così come la disillusione nei confronti di un canale in balìa degli eventi. Quali pensa che siano i “doveri” che un marchio leader ha nel sup-portare il rinnovamento del canale?Non vorrei sembrare pedante e pignolo ma desidero sottolineare questa leadership crescente e diffusa (sul Totale Mercato e su tutte le categorie, escluso lo skincare): l’instabilità e, a volte, l’incertezza dei dati a disposizione non rendono sempre giustizia a questo fatto. Non credo a doveri ispirati dal fatto di essere leader, credo invece a delle azioni concrete che permettono di diventare leader: sostegno del ‘co-re business’, innovazione di prodotti e di processi, mantenimento di una distribuzione selettiva, investimenti pubblicitari classici e digital, sostegno concreto al sell out (campionamenti su tutte le categorie, attività con beauty e make up artist, training su prodotti e su tecniche di vendita, contatto qualitativo delle nostre forze di vendita, logistica integrata….vuole che continui?). Sono tutti elementi distintivi su cui il nostro gruppo, anche durante questo brutto e lungo ciclo negativo, non ha mai smesso di investire. E proprio la sua rivista ci ha per tre anni consecutivi premiato su caratteristiche attinenti a questo: non sa che soddisfazione abbiamo provato tutti!
In un’intervista di qualche tempo fa ci ha detto: “È frustrante assistere all’impoverimento del settore e alle chiusure di molte insegne, la cui drammaticità mi tocca professionalmente e per-sonalmente”. Come è possibile cambiare le sorti del canale?
Non ho ricette magiche, buone per tutte le stagioni, né mi per-metto di dare consigli non richiesti a nessuno. Le reazioni all’intervista del Professor Carnevale Maffè, mi sembra, siano tutte nella stessa direzione: provocatorio ma sostanzialmente ha ragione. Il patrimonio di conoscenze del retailer sui propri con-sumatori dovrebbe essere ‘sfruttato’ per spingere la propria offerta concorrenziale verso l’alto, con servizi e ambienti eccellenti, non appiattirsi verso il basso, facendo concorrenza e utilizzando leve su cui altri retailer, con estrazioni diverse, sono molto più bravi. Provare a scaricare sull’industria i costi di questo “impoverimento” è poi l’ultimo tassello di un puzzle che non andrà mai a posto. È una via d’uscita troppo facile, una manifestazione d’impotenza che serve come alibi per non provare altre strade. La ricerca dell’efficienza, l’interpretazione di questa “crisi” (che forse è solo un cambio epocale negli stili di vita e di consumo), la creazione di negozi attrattivi e i relativi strumenti di “call to buy”, la prepara-zione del personale, l’esperienza sensoriale sul punto vendita… sono alcuni degli argomenti ancora da esplorare profondamente.
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