Dopo mesi di incertezze e di difficoltà finanziarie, dopo un periodo di preoccupazione condivisa con i fornitori dell’industria cosmetica e, a catena, con tutta la profumeria italiana, inizia il nuovo corso di Limoni, prima catena di profumerie in Italia con 430 punti vendita, 2.300 dipendenti e un fatturato di 318 milioni di euro. A settembre l’autorità garante per l’antitrust ha dato il suo nulla osta all’acquisizione da parte di Orlando Italy Management del 50% di Limoni. Il restante 50% resta nelle mani di Bridgepoint. Il tutto a fronte dell’iniezione in azienda di 40 milioni di euro di liquidità da parte dei due fondi azionisti. A seguito dell’operazione di ristrutturazione oggi Limoni è sgravata da 260 milioni di indebitamento bancario e il restante debito di 114 milioni di euro dovrà essere rimborsato in un’unica soluzione a fine 2017. È con queste premesse che Enrico Ceccato, neo amministratore delegato di Limoni e socio fondatore di Orlando Italy Management, ha preso in mano la guida della catena per proiettarla nel futuro, trasformandola in un partner ideale della cosmetica di lusso con il proposito di raccogliere i primi frutti della riorganizzazione già a partire dal 2013. In che modo? Con la chiusura di oltre 50 profumerie e lo spostamento di altri 20/30 negozi, forse con il lancio di una nuova insegna, sicuramente attraverso la partnership con le case cosmetiche.
In passato abbiamo criticato di Limoni la strategia troppo sbilanciata sul breve e medio periodo. Può rassicurare il mercato sul futuro dell’insegna?
L’azienda veniva da un’acquisizione pesantissima da parte di Bridgepoint con un livello di indebitamento che impediva qualunque mossa, anzi ogni trimestre veniva chiuso con “l’acqua alla gola”. Finché la redditività ha tenuto, l’azienda è andata avanti, ma quando ha cominciato a soffrire e quindi a minare il rapporto con i fornitori, allora la situazione è degenerata. Oggi il quadro è completamente diverso, l’azienda è sdebitata e gli unici impegni che abbiamo sono a cinque anni, senza interessi. Le risorse immesse sono importanti, 40 milioni, e peraltro sono rimaste in dote alla società, perché abbiamo fatto accordi con alcuni fornitori per rientrare sulle esposizioni in modo graduale. Tutto questo garantisce che il nostro progetto sia “sano”. Come investitori, l’unico modo in cui possiamo guadagnare è creando valore, quindi il nostro orizzonte non può che essere di lungo termine. È essenziale per noi fare di Limoni una catena leader in Italia con una massa di consumatori fedeli all’insegna.
Il vostro piano prevede, come recita il comunicato stampa: “una profonda revisione dei punti vendita che porterà a identificare diverse tipologie di formati e alla chiusura di un certo numero di negozi non performanti o non in linea con l’offerta che abbiamo in mente”. Quali e quanti cluster di negozi avete individuato? E con quali caratteristiche?
Abbiamo definito tre cluster di profumerie. Quelle di fascia A, circa 200 punti vendita, sono negozi che si trovano in posizioni prestigiose, sono dotati di ampie vetrine e possono contare su concessioni importanti. Poi ci sono le profumerie di fascia B, che sorgono in location più defilate e hanno un minor numero di concessioni. Infine ci sono i negozi di fascia C, che sono nati come monomarca dedicati alla nostra private label B by Limoni oppure che hanno una quota di prodotto mass market importante.
Quali negozi intendete chiudere?
In generale pensiamo di chiudere i punti vendita non performanti, che hanno costi di affitto e spese generali spropositate rispetto al fatturato. Non devono appartenere necessariamente a un cluster o all’altro. Per esempio, ci sono negozi con una quota importante di mass market che funzionano bene. Per questi non stiamo valutando la chiusura ma stiamo riflettendo se abbia senso che si chiamino Limoni o meno, forse avrebbe senso pensare a una nuova insegna.
Numericamente, quante chiusure pensate di realizzare?
Tra i 50 e i 100 negozi sui circa 400 attuali.
Poco fa parlava dei negozi B by Limoni. L’insegna continuerà a esserci?
È uno dei primi temi che abbiamo affrontato, ci stiamo ragionando, ma non abbiamo ancora le idee chiare perché è un segmento complesso, dove abbiamo concorrenti come Sephora sulla fascia più alta e Kiko su quella bassa.
E per quanto riguarda i Limoni Point all’interno dei magazzini Oviesse?
Certamente ci sono molti negozi che performano bene, altri meno, ma il rapporto con Oviesse è di lunga durata e per il momento prosegue. Non appena ci sarà l’occasione mi incontrerò con Stefano Beraldo, che conosco bene perché siamo stati colleghi in Gruppo Benetton, per parlare del futuro.
Una volta ristrutturata la rete vendita, dove vorreste fare sviluppo?
Non so ancora dirglielo, abbiamo intrapreso un lavoro di mappatura che è ancora in corso. Fin da ora sappiamo che non ci saranno solo chiusure ma anche spostamenti di punti vendita in location migliori. Le sostituzioni e le riaperture calibrate saranno tra i 20 e i 30 negozi.
In che modo i punti vendita, con gli elementi che lo compongono (dal mix merceologico, al layout…), rispecchieranno il nuovo corso della catena?
Il nostro obiettivo è creare una catena che sia leader non solo per la numerica ma anche dal punto di vista delle performance. Per fare ciò puntiamo a trasformare le nostre profumerie in luoghi privilegiati per la cosmetica di lusso. Parecchi punti vendita sono già in linea con questo posizionamento, altri devono cambiare volto. Dal punto di vista assortimentale ci proponiamo di lavorare bene con i marchi cosmetici, realizzando un lavoro di category management più sofisticato di quanto è stato fatto a oggi. Vogliamo diventare il partner unico e privilegiato delle case cosmetiche, che potranno contare su di noi per realizzare iniziative di marketing importanti.
Quanto conta la partnership con le aziendecosmetiche per il successo di Limoni?
È paradossale che l’industria cosmetica investa moltissimo in prodotto e comunicazione ma poi non entri nel punto vendita con progetti di marketing in grado di attrarre consumatori e massimizzare il sell out. Le profumerie Limoni possono diventare un veicolo di comunicazione per il mondo della cosmetica.
A proposito di comunicazione, nei mesi scorsi la catena ha investito in Tv. Pensate di realizzare una campagna analoga?
Stiamo riflettendo con attenzione su ciò. Prima del nostro arrivo in azienda era stata predisposta la realizzazione di una campagna Tv, ma oggi non so dirglielo. Non so quanto sia utile fare un investimento di questo tipo in un momento in cui il messaggio che vogliamo veicolare non è ancora così chiaro.
Continuerà la sponsorizzazione della Milano Fashion Week?
È un’iniziativa molto legata alla nostra private label B by Limoni, quindi dipenderà molto dal ruolo che faremo giocare a questo brand. In generale ritengo che possa essere un’esperienza interessante e un ottimo strumento di dialogo con la moda, ancora di più se la Milano Fashion Week riconquisterà il ruolo di primo piano che aveva in passato, e vedo dei timidi segnali in questo senso.
Per quanto riguarda il rapporto con La Gardenia, come si strutturerà? Continuerete a condividere i brand esclusivi?
Credo che le due insegne debbano essere distinte, avere format ben identificabili e una capacità autonoma di attrarre la clientela, così da non farci concorrenza anche laddove i punti vendita sono vicini. Non ha senso sovrapporre Limoni e La Gardenia o farle vivere come se fossero un’unica entità come è stato fatto in passato. Ma questo non significa che non possiamo avere sinergie su vari fronti.
Nel 2011 avete lanciato il sito di e-commerce. Che tipo di riscontro avete avuto a oggi? E qual è il suo potenziale?
Oggi non sono soddisfacenti né il tipo di ruolo né la performance economica di questo sito. Il modo in cui il web è stato interpretato finora è un po’ tradizionale, dobbiamo ripensarlo e reimmaginarlo. Internet è strategico e, in quanto tale, è un argomento che affronteremo presto.
Qual è in generale il potenziale del web – social network compresi – per portare i consumatori in profumeria?
Fondamentale. Il sito in sé non ha senso. L’azienda ha le potenzialità per diventare un interlocutore importante per i consumatori, deve parlare a loro in modo più moderno e continuativo nel tempo, ma è un dialogo che va costruito.
Di pari passo con il ridimensionamento delle rete vendita, immaginiamo che si debbano operare tagli anche dal punto di vista del personale di Limoni. Quali i cambiamenti?
Ci saranno chiusure ma anche spostamenti e interpretazioni di certi spazi in maniera diversa. Non escludiamo anche cessioni a società diverse. Certamente nel caso in cui dovessimo fare delle chiusure faremo in modo che non venga disperso il know how detenuto dal nostro personale spostandolo, se possibile, in altri punti vendita.
Ci saranno cambiamenti anche nel management della sede?
Come in tutte le aziende che stanno vivendo una fase di grande ripensamento è fondamentale il ruolo svolto dal management, ancora di più nel retail. Conosco ancora poco le persone che rivestono ruoli manageriali in Limoni, ma faremo ciò che va fatto. È un po’ il nostro stile, di Orlando, quello di entrare pesantemente nella gestione delle società nella fase iniziale per poi trovare le persone giuste o l’assetto giusto con il management già presente in azienda per trovare l’equilibrio.
Orlando Italy Management è un fondo private equity focalizzato su aziende in forte difficoltà finanziarie. Quali sono le caratteristiche che hanno fatto di Limoni un “investimento” interessante?
Abbiamo colto l’opportunità di acquisire una quota del 50%, con diritti di gestione, di una catena di profumerie che è la più importante dal punto di vista numerico in Italia e che opera in un settore dove non ci sono molte realtà organizzate forti ed efficienti, quindi pensiamo di poter lavorare bene. Questo a un valore ragionevole. L’azienda era gravata, fin dal momento dell’acquisizione da parte di Bridgepoint, da un debito tale da influenzare ogni decisione di business. Qualsiasi redditività l’azienda generasse era destinata a ripagare le passività. L’operazione che è stata realizzata ha permesso di sgravare la società dai debiti e ci ha permesso di entrare nella proprietà e lavorare non dico con serenità, perché il momento è difficile, ma con una visione.
Per Orlando il mestiere del retailer è relativamente nuovo, non avete altri investimenti nell’ambito distributivo…
Non ci sono altre realtà di retailing nel portafoglio di Orlando, ma tanto io quanto Paolo Scarlatti (socio fondatore di Orlando Italy Management insieme a Enrico Ceccato, ndr) abbiamo esperienza in ambito distributivo. Io sono stato amministratore delegato di Autogrill, mentre Paolo Scarlatti come consulente di Boston Consulting Group ha conosciuto molti casi di retail. Siamo entrambi molto appassionati di distribuzione, pensiamo che sia un mestiere difficile, molto bello e nel quale sono necessarie professionalità e grandi competenze. Ci piace pensare di poter dare il nostro contributo nell’evoluzione del retail in Italia attraverso Limoni, che peraltro opera in un mercato che già conoscevamo, quello del beauty (Orlando controlla Perfume Holding, società nata dalle ceneri di Morris Profumi e di Selective Beauty, ndr).
In che modo la nuova proprietà ha raggiunto l’equilibrio?
Siamo soci al 50% ma Orlando gode di un diritto di gestione, il che significa che può nominare l’amministratore delegato. Tuttavia la mia nomina a questo ruolo è stata una proposta di Bridgepoint basata sulla conoscenza che ho del retail e sulle competenze nel beauty maturate attraverso Perfume Holding. Ora il ritengo che il mio primo compito sia essere vicino alla rete vendita per conoscere da vicino il business e coloro che quotidianamente rappresentano Limoni agli occhi dei consumatori. Per questo motivo in queste settimane abbiamo organizzato quattro incontri – a Milano, Bologna, Cagliari e Roma – dove abbiamo incontrato tutto il personale della catena.
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