“Il mercato sta attraversando un momento difficile per effetto della congiuntura economica, ma non solo. La profumeria è in crisi perché fino a oggi si è concentrata su se stessa e non è stata in grado di cogliere le nuove tendenze emergenti in altri mercati. Pensiamo al fenomeno low cost, che si è dimostrato vincente nell’abbigliamento con Zara, nel make up con Kiko e nei viaggi con gli operatori virtuali. La profumeria non ne è stata toccata, in questi anni non è cambiata. Bisogna navigare in un mare che non è più piatto ma in tempesta, ed è necessario capire come farlo al meglio”. A pronunciare queste parole è Luca Catalano, dallo scorso giugno direttore commerciale di Collistar, che, forte della sua esperienza in aziende che spaziano dal mass market al selettivo, aggiunge: “Per far veramente tornare i consumatori in profumeria dobbiamo studiare nuove soluzioni, soluzioni che siano basate sulla comunicazione tra le parti e che siano etiche”.
Questo è un lavoro che devono fare insieme industria e distribuzione. Come?
È necessario credere in noi stessi e metterci cuore e passione. Dobbiamo lavorare insieme per ridare linfa vitale a quello che era il tempio delle donne. In passato, quando una consumatrice aveva una certa somma da spendere e voleva gratificarsi pensava prima di tutto alla profumeria. Oggi non è più così perché quella medesima cifra va oggi ripartita tra abbigliamento, accessori e molto altro. Il competitor di riferimento non è più la profumeria vicina. È dieci anni che Npd dice che gli scontrini diminuiscono, continuano a diminuire i pezzi venduti, quindi è necessario reclutare nuovi consumatori.
In che modo?
Stiamo rivoluzionando il nostro sito Internet e stiamo puntando su numerose iniziative via web per avvicinare nuovi consumatori al nostro brand. È il momento di pensare davvero a cose nuove. Basta con i tatticismi, l’industria deve fare vera innovazione. In questo senso i prodotti devono essere “etici” e se promettono un certo risultato devono darlo. Non possiamo più mentire, perché oggi migliaia di persone parlano e si confrontano attraverso Internet e, se non siamo sinceri, immediatamente ci smentiscono. Ci vuole trasparenza. Abbiamo dei soldi da spendere. Spendiamoli al meglio e se dobbiamo guadagnare, guadagniamo vendendo un prodotto, non aumentando i listini. Guardiamo cosa succede nel mondo – non solo nella profumeria – e facciamone tesoro.
Cosa potrebbe fare il retail per rinnovarsi?
La rivoluzione nella profumeria è avvenuta 15 anni fa quando le grandi superfici a libero servizio sono andate ad affiancare il dettaglio tradizionale. Oggi ci sono format più o meno validi che vendono spesso gli stessi brand e prodotti. Di conseguenza il consumatore non è più fedele. Anche i negozi sono spesso datati. Eppure sarebbe sufficiente introdurre piccoli accorgimenti per migliorare gli spazi. Per esempio la profumeria è il tempio della bellezza, ma spesso non ci sono specchi, se non quelli di piccole dimensioni posti sui general tester, in cui la cliente può guardarsi. Perché non diamo alle consumatrici qualche specchio a figura intera? Così può verificare come il trucco di abbina al suo look. O ancora ho notato che Zara ha delle casse molto comode, dove è possibile appoggiare facilmente la borsa. Perché la profumeria non ha strutture simili, che fanno sentire la cliente a proprio agio? È necessario puntare su nuove iniziative, non solo in store ma anche fuori del punto vendita per reclutare nuovi clienti.
Come?
Per esempio si potrebbe fare un migliore uso del web oppure creare nuovi servizi. Ho proposto a un retailer di aprire in anticipo il punto vendita la mattina e di invitare tutte le commesse dei negozi vicini a truccarsi. In questo modo la profumeria potrebbe avere un ritorno economico – il servizio sarebbe offerto a un prezzo molto competitivo e potrebbe incentivare le vendite – e anche di immagine. Oppure, avendo spazio a disposizione, potrebbe creare una barberia e così incentivare l’ingresso della clientela maschile. Un’altra idea interessante potrebbe essere che la profumeria si doti di un logo comune, un simbolo al pari delle stelle degli hotel, che identifichi tutti i punti vendita con un certo tipo di selettività e di servizio.
Tornando a quanto diceva poco fa, anche la trattativa commerciale deve essere etica?
Oggi abbiamo sfiducia nelle persone. Abbiamo sempre paura che l’altro ci tiri brutti scherzi, per questo stiliamo contratti sempre più articolati. La nostra parola non ha più valore. Eppure in questo modo la comunicazione non funziona, le trattative non si conducono nel modo migliore ed entrambe le parti non raggiungono gli obiettivi che si erano prefissate. Al contrario la trasparenza permette di costruire un rapporto solido e premiante nel tempo. Ripeto sempre alla mia forza vendite di dire la verità e di usare le stesse condizioni commerciali per tutti, dal cliente più grande a quello più piccolo.
In questi mesi, dal suo arrivo in Collistar, come è cambiata la rete vendite?
Dal punto di vista della numerica non è cambiato nulla. Fino a ieri i nostri agenti erano più ingaggiati sulla quantità, oggi lo sono sulla qualità, in particolare per quanto riguarda l’esposizione. Tutti siamo a conoscenza del fatto che il consumatore definisce una buona parte degli acquisti sul punto vendita: se i prodotti sono esposti bene si vendono, se non lo sono non si vendono. È chiaro che tutti i marchi ambiscono ad avere buone posizioni, ma sta al retailer attribuirle in funzione delle potenzialità. Penso che Collistar sia un interlocutore importante per i profumieri perché investe molto in pubblicità, comunica in modo chiaro il proprio prezzo, ribadendo al consumatore finale che in profumeria non tutto è “costoso”, e valorizza il canale, dicendo da sempre che i suoi prodotti si trovano “solo in profumeria”. Inoltre è la prima azienda del mercato selettivo con una quota a volume del 14,3% (dato Npd a luglio). Certamente nell’ultimo periodo sta soffrendo, ma meno del mercato.
Qual è la vostra arma vincente?
La capacità innovativa e la geografia dei prodotti molto chiara. Quest’ultimo aspetto è anche un boomerang che alimenta il fuoricanale.
In che senso?
Oltre a essere molto venduti e molto conosciuti, i nostri prodotti sono di chiarissima lettura: anche il consumatore impreparato leggendo la confezione ne comprende le funzionalità. Questo facilita la vendita a libero servizio e quindi, indirettamente, anche la fuoriuscita dal canale, cosa che non possiamo accettare.
Che cosa fate per evitarla?
Ci siamo affidati a una società che si chiama Certilogo che ha certificato i nostri prodotti in modo tale da scoprire che tipo di percorso compiono per giungere fuoricanale. Questo ci ha permesso di individuare i responsabili e prendere le dovute precauzioni. Abbiamo chiuso alcuni concessionari sia in Italia sia all’estero e chiesto la collaborazione di altri per contenere il fenomeno. È una guerra difficile da combattere ma teniamo molto al canale. E in tempi non sospetti siamo stati i primi a scrivere nelle comunicazioni stampa e a ripetere negli spot radio “solo in profumeria”. Certamente il canale dei drugstore sta crescendo, anche appropriandosi di segmenti importanti della profumeria, come l’alcolico, ma proprio per questo industria e distribuzione devono lavorare insieme per fare in modo che i consumatori riconoscano un valore aggiunto al selettivo. Dobbiamo entrambi lavorare sulla formazione perché è fondamentale che l’addetto ascolti le esigenze del cliente e lo consigli nel modo migliore. Non c’è nulla di peggio di vendere un prodotto che “non serve” o che non è adatto alle necessità o al tipo di pelle, perché la conclusione cui potrebbe giungere il consumatore è che la profumeria non venda qualità. E non è così. Dobbiamo fare gioco di squadra sia al nostro interno sia con i nostri clienti e i clienti con noi.
Proprio per questo motivo alcune aziende hanno recentemente creato dei team di persone che affiancano i commerciali e che girano tra i concessionari per supportarli in tutte le loro necessità, dalla formazione, all’esposizione fino all’analisi dei dati. State studiando qualcosa di analogo?
Credo nel lavoro qualitativo dell’agente, una professione che è in trasformazione per effetto delle nuove tecnologie. L’agente deve sempre più trasformarsi in un direttore di area, intendendo con ciò che si deve occupare non solo dei contratti, ma anche della visibilità dei prodotti sul punto vendita e deve consigliare il partner su come migliorare la rotazione dei prodotti. Deve essere in grado di fare analisi approfondite e deve porsi in una logica di confronto costruttivo. È su questo che stiamo lavorando. Fino ad oggi la distribuzione ha chiesto di avere più sconti, l’industria di vendere più prodotto. Ora il sell in e il sell out devono diventare tutt’uno.
Avete riscontrato disponibilità a collaborare da parte dei retailer?
La condivisione dei dati non è scontata, quindi il grado di accuratezza delle analisi, disponendo dei soli dati di sell in, non è elevato quanto potrebbe essere partendo dal risultato di sell out. È vero che sempre di più il sell in non si discosta dal sell out, ma la condivisione permetterebbe di intervenire al meglio e più tempestivamente. Dobbiamo rivedere tutti quanti le nostre convinzioni e solo con una vera collaborazione, con la partnership, possiamo fare meglio.
Recentemente è stato approvato il piano di ristrutturazione di Limoni. Che cosa ne pensa?
Limoni è un player con 500 porte, la prima catena di profumerie in Italia, per cui sicuramente la crisi attuale è anche data dalla crisi di Limoni. Tutto il mercato si augura che il piano di ristrutturazione sia vincente perché è la prima insegna del selettivo ed è parte del patrimonio della profumeria. L’emorragia va bloccata ed è chiaro che la ristrutturazione va portata avanti, anche se è molto dolorosa. In generale, la profumeria ha ancora molto da dire. Sembra impossibile, ma le idee nuove ci sono e quelle che sono destinate ad avere più successo sono quelle etiche, improntate sulla trasparenza.
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