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Qual è il futuro del selettivo?

Andrea e Roberto Galli, amministratori delegati della catena di profumerie Lively, si propongono di portare nuovi consumatori nei punti vendita con un’offerta più razionale e più chiara. Tutto puntando sul centro commerciale

La loro insegna è Lively Profumerie in Milano, ma la loro presenza si estende ben al di fuori del capoluogo lombardo. Eppure la città meneghina resta il fulcro attorno al quale ruota tutta l’attività di questa realtà locale e rigorosamente familiare che solo l’anno scorso ha aperto cinque punti vendita. Abbiamo incontrato Andrea e Roberto Galli, i due amministratori delegati, e abbiamo chiesto loro di raccontarci i progetti di sviluppo e la loro visione del mercato. “Il problema è capire quali sono le prospettive, che futuro può avere il canale selettivo. Sinceramente se guardiamo l’industria temiamo il fallimento della profumeria” affermano i due imprenditori. “Quest’anno celebriamo i 60 anni dalla creazione dell’attività. Il nostro ingresso in azienda è avvenuto negli anni ’90 e da allora abbiamo dato impulso allo sviluppo della rete di negozi, prima a Milano e poi nei centri commerciali. Oggi abbiamo 22 punti vendita con un fatturato di circa 18 milioni di euro, 70 persone full time e 15 part time. Le nostre profumerie hanno una superficie media di 100 mq e registrano uno scontrino medio che varia tra i 40 e i 45 euro”.

Quali sono i vostri progetti di crescita?

A: Cerchiamo di svilupparci in modo compatibile con il fatto di essere un’azienda con una gestione e un controllo familiare. Vogliamo visitare i punti vendita frequentemente, in modo tale da garantire un elevato standard qualitativo nel servizio offerto al cliente, dal punto di vista sia della preparazione del personale sia del layout espositivo.

Idealmente quanti punti vendita vorreste ancora aprire e dove?

A: Valutiamo attentamente ogni nuova apertura che ci propongono. Stiamo cercando di trovare un punto di equilibrio, una dimensione ideale, per avere sia convenienza economica sia polso della situazione. L’anno scorso abbiamo apportato alcune modifiche alla logistica e, a parità di struttura e personale, possiamo gestire più negozi. Siamo passati da 17 a 22 profumerie nel giro di un anno senza che ciò comportasse modifiche sostanziali alla nostra organizzazione. Dobbiamo ora capire fino a che punto possiamo crescere senza che questo comporti anche uno stravolgimento del nostro attuale assetto.

In questo contesto di crisi, forse è ancora più difficile fare progetti per il futuro…

R: Sicuramente oggi è più complicato fare progetti per il futuro; il nostro intento è quello di continuare a fare bene il nostro lavoro, con grande impegno e spirito di sacrificio ben consapevoli che non ci sono risposte facili o valide per tutte le realtà per superare questi momenti.

Delle 22 profumerie Lively, 6 sono in Milano e 16 nei centri commerciali. Perché puntate con questa decisione sul format del centro commerciale?

A: All’inizio è stata un’opportunità, poi una scelta quasi obbligata.

In che senso?

R: In una grande città i costi per aprire profumerie in location appetibili, tra affitto e buonentrata, non sono sostenibili e di conseguenza il dettaglio tradizionale sta scomparendo. Del resto i proprietari di immobili hanno l’obiettivo di ricavare il massimo per se stessi, non di sviluppare la pluralità delle attività commerciali per offrire un servizio alla clientela. Non è un caso se le vie commerciali di Milano, e di altre grandi città, sono appannaggio esclusivo di negozi monobrand e grandi catene, che possono permettersi di avere punti vendita che non producono redditività.

Invece il centro commerciale offre delle garanzie?

A: Le società che gestiscono i centri commerciali puntano a offrire al visitatore un mix di prodotti e servizi predefinito – che difficilmente accosta esercizi commerciali analoghi – e ben calibrato, dal calzolaio al tabaccaio, dal ristorante al negozio di abbigliamento fino alla profumeria, in grado di soddisfare ogni tipo di esigenza. I canoni di affitto sono definiti in funzione, non di criteri arbitrari, ma delle vendite stimate che ciascuna attività commerciale può realizzare e dei suoi margini.

R: Lo sviluppo nel centro storico esige una grande conoscenza della città e delle abitudini delle persone che la frequentano. Diversamente non è possibile valutare il potenziale di un negozio. Il centro commerciale è quindi, sotto alcuni punti di vista, meno rischioso.

Quali sono i vantaggi del centro commerciale?

A: Il centro commerciale non fa un’asta al miglior offerente, come il proprietario di un immobile, ma investe sulla profumeria perché decide che questa completa il mix di servizi che offre al consumatore. Il gestore del centro commerciale esercita un forte potere nei confronti dei diversi retailer, imponendo, per esempio, un frequente restyling del punto vendita. Questo è oneroso, ma fa in modo che l’offerta sia di qualità. Al singolo negoziante garantisce un traffico interessante, variabile in funzione della dimensione della struttura e dell’organizzazione di eventi e manifestazioni in grado di richiamare consumatori. Ma non solo, le persone che attrae hanno, in genere, un’elevata propensione all’acquisto.

Quali sono invece i limiti?

A: Non è facile valutare in quale centro commerciale aprire. Gli operatori stanno commercializzando in aree già presidiate, con il rischio che il bacino d’utenza potenziale non sia in grado di supportare due o più strutture. Un altro problema riguarda la non uniforme distribuzione del lavoro. Soprattutto nei centri che hanno aperto recentemente, il fatturato è concentrato nelle giornate di sabato e domenica con la conseguenza che si rende necessaria un’integrazione del personale di vendita in quelle giornate.

Alcuni centri commerciali hanno rapporti preferenziali con catene nazionali e internazionali, altri lasciano spazio alle realtà locali. Qual è a vostro giudizio il vantaggio che una profumeria indipendente può dare alla clientela di un centro commerciale?

A: La nostra catena presta grande cura al dettaglio e al personale di vendita; investiamo due giorni al mese nella formazione delle vendeuse per un totale di 10.000 ore all’anno. Si tratta principalmente di training sui prodotti e sulle tecniche di vendita, che realizziamo sia in collaborazione con le aziende di cosmetica sia in maniera autonoma. Spesso, proprio per la loro struttura più complessa, le catene nazionali non riescono a garantire questa attenzione al personale in negozio e quindi poi a seguire al cliente finale.

Il 2012 ha evidenziato un trend negativo per giro d’affari e unità vendute. In che modo la profumeria può tornare a crescere?

R: Ritrovando le proprie radici, riappropriandosi con professionalità del rapporto esclusivo con la clientela. Un rapporto basato sulla fiducia che le venditrici devono saper riconquistare attraverso la loro competenza. La profumeria deve sapere fornire le risposte adeguate alle richieste ed esigenze dei clienti, sfatando anche il luogo comune secondo il quale in profumeria tutto è caro. Abbiamo per questo inserito nella nostra offerta profumi e prodotti make-up da primo prezzo, così da attrarre un pubblico quanto più eterogeneo per età e potenzialità di acquisto. Vogliamo offrire tanto l’alto di gamma quanto l’entry level, il tutto in un negozio moderno e accattivante; certo non è un lavoro semplice, sempre più negli ultimi tempi l’industria ha portato avanti una politica di livellamento verso l’alto dei prezzi, fino ad arrivare al paradosso che spesso prodotti no brand vengono posizionati in una fascia di prezzo molto vicina a quelli dei prodotti di marca.

Come si può accrescere il sell out in un simile contesto?

A: Con una migliore esposizione della merce, comunicando con il consumatore non solo attraverso l’addetta, ma anche con il prodotto. Non tutti i potenziali clienti hanno il piacere dell’interazione e queste persone dovrebbero essere libere di osservare da sole l’offerta, senza riscontrare difficoltà nel capire a cosa servono i prodotti o quanto costano. Ci piacerebbe che il punto vendita fosse quasi “parlante”.

Cosa fate per renderlo tale?

A: Ci impegniamo a essere chiari in ogni nostra comunicazione alla clientela, nonostante sia più difficile di quanto possa sembrare! Per esempio anche comunicare il semplice prezzo dei prodotti non è così agevole, basti pensare alla grande quantità di referenze che esistono in profumeria, ai loro nomi spesso complicati, non esplicativi della loro funzione. Mi piacerebbe vedere una profumeria dove il consumatore uomo o donna, giovane o maturo, riesca a leggere da solo la merce, magari concentrandosi solo sul suo brand preferito e poi chiedendo all’addetta dei consigli relativamente a un numero ristretto di prodotti. È quasi un controsenso progettare e realizzare negozi a libero servizio se poi, nella realtà, il cliente non è in grado di acquistare i prodotti in modo autonomo.

R: Dobbiamo anche gestire un’eccessiva polverizzazione delle referenze. Prendiamo l’esempio dei solari. Alcuni brand ci propongono un range completo di tutti fattori di protezione su tutti i tipi di texture (crema, latte e olio). Ma sono troppe varianti. In questo modo si confonde il consumatore.

Avete mai pensato di fare dei progetti di category management, così da rendere più razionale l’offerta?

R: Certamente la razionalizzazione dell’offerta è una nostra priorità, ma è un lavoro molto complesso. Se non riesce a farlo l’industria con i singoli brand, difficilmente possiamo riuscirci noi in qualità di retailer. Ciononostante continuiamo a tentare, sperimentiamo nuove soluzioni di acquisto ed espositive alla ricerca di quella più funzionale e adatta al consumatore finale che, dobbiamo ricordare, non è un esperto del settore.

A: L’industria vorrebbe esporre tutte le referenze nello stesso modo, noi invece vorremmo poter esporre meglio le referenze best seller e suddividere quanto resta dello scaffale di vendita tra ciò che è più interessante. Abbiamo cominciato a razionalizzare la proposta nell’alcolico acquistando i lanci strategici delle aziende, ma rifiutando con decisione tutti i lanci tattici, ma il lavoro è ancora molto lungo e complesso.

La profumeria oggi soffre di un calo di traffico. Come è possibile far tornare i consumatori, in particolare i giovani, in profumeria?

R: Ci vorrebbe maggior impegno da parte dell’industria e maggior collaborazione con i retailer. Da parte nostra abbiamo ringiovanito il nostro sito Internet e ci stiamo avvicinando a Facebook e Twitter. Puntiamo su personale formato, competente ma allo stesso tempo dinamico e divertente nella proposta d’acquisto. Investiamo progettando negozi luminosi dal layout elegante e moderno, dove il prodotto sia a disposizione del consumatore, senza barriere. Inoltre realizziamo per i nostri clienti mini trattamenti, aperitivi e cocktail con prova prodotti gratuita. Tra gli eventi più apprezzati abbiamo la scuola di “self make up” per insegnare alle consumatrici come utilizzare, indipendentemente dal fatto che poi comprino, i diversi prodotti di trattamento e trucco.

Queste iniziative sono in collaborazione con l’industria o realizzate in modo autonomo?

R: Le realizziamo sia da soli sia in partnership, ma la verità è che lavoriamo con il nostro personale affinché ogni vendita diventi un’esperienza multisensoriale, di coccole e benessere. Per questo motivo facciamo formazione alle nostre dipendenti sulle tecniche di vendita: perché siano in grado di far vivere al nostro consumatore l’esperienza unica della scoperta e della conoscenza del prodotto, sempre!

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