Partiamo da un presupposto: il consumatore di oggi è profondamente cambiato rispetto a quello di un decennio fa. Di conseguenza, anche la comunicazione con la quale le aziende si interfacciano con i propri interlocutori deve mutare. “Oggi un brand non può più ragionare e puntare su un unico target, specializzandosi di conseguenza su una visione o su un certo tipo di messaggio ma è necessario, da un lato, lavorare sulla capacità produttiva che è profondamente scientifica e sostenibile e, dall’altro, esplorare nuove pratiche di consumo legate a inediti nuclei generazionali. È necessario fare leva sul feeling con il consumatore, sulle sue passioni e giorno dopo giorno innovare, sperimentare, sollecitare nuove forme di esperienza in modo pratico e concreto”. Sono le parole con le quali Francesco Morace, sociologo, scrittore, giornalista e presidente dell’istituto di ricerca Future Concept Lab, ha concluso il proprio intervento nell’ambito del convegno “Bellezza senza trucco” organizzato da Cosmetica Italia durante Cosmoprof e volto a comprendere i nuovi paradigmi di comunicazione nel comparto della bellezza.
“Oggi quello che conta non è più lo status symbol, non è più essere e rappresentare un mondo fatto di privilegi, bensì vivere quotidianamente in modo felice. Quella che stiamo vivendo non è semplicemente una crisi economica, ma un passaggio paradigmatico ovvero un cambiamento profondo dei valori che non si esaurisce nell’arco di pochi mesi ma che dura per alcuni decenni. L’ultimo che abbiamo vissuto è coinciso con il passaggio dagli anni Settanta agli Ottanta, quando siamo passati dal terrorismo e dagli anni di piombo all’esaltazione della moda, del benessere e del made in Italy. Oggi stiamo vivendo una transizione analoga che ha fatto emergere quattro nuovi paradigmi considerati elementi di lettura della nostra felicità quotidiana: la condivisione, la cura, la sostenibilità e la qualità del tempo e dello spazio.
A ciascuno di questi abbiamo associato un nucleo generazionale” prosegue Francesco Morace.
Come anticipato, lo sharing o la condivisione è il primo paradigma, quello maggiormente influenzato dai cambiamenti tecnologici e in particolare dalla nascita del fenomeno dei social network che ha contribuito alla creazione di una cultura delle affinità. Non è più possibile prescindere dalla comunità, che si tratti dei propri follower o dei blogger di riferimento. “Le persone per propria dimensione biologica – è del professor Riffolati dell’università di Parma la scoperta dei neuroni a specchio – amano riflettersi negli altri. La bellezza, quindi, non è più esclusiva, ma implica una capacità non solo di coinvolgimento ma anche di riconoscimento reciproco. Questo è un elemento che va a modificare profondamente le logiche di comunicazione: la marca dovrebbe lavorare sul concetto di empatia, affinità ed esperienza sensoriale. Molto spesso in periodo di crisi si parla di prezzo come discriminante fondamentale per il consumatore, ma penso che non ci sia errore più grande di questo. Il prezzo è una variabile di controllo ma ciò che conta è ciò che si comunica e condivide con lo sharing. Sono incarnazione di questi valori le Sense girls, donne dai 20 ai 40 anni, che concepiscono l’estetica non come status symbol, ma come cura di se stesse nel rapporto con il mondo. Una marca che voglia parlare con questo target non può prescindere dalle beauty blogger e dai codici di comunicazione che fanno leva sulla sensorialità” spiega Francesco Morace.
Il secondo paradigma è la sostenibilità. Se in passato l’ecologia è stata concepita come una visione militante contro il mondo dei consumi e quindi difficilmente conciliabile con un elevato livello di estetica, oggi non è più così. Al contrario ecologia esprime la capacità di individuare nuovi equilibri. “Non è più sostenibile produrre in abbondanza, bisogna produrre di meno ma meglio, aggiungendo una nuova dose di creatività, piacevolezza e una rinnovata energia. Da qui un altro nucleo generazionale, sempre femminile, le Singular women. Si tratta di consumatrici caratterizzate da una forte autonomia di scelta, in grado di influenzare la propria famiglia e il gruppo di riferimento grazie a un carattere forte. Ecco quindi una nuova concezione della bellezza che parte dalla dignità della persona e dall’autenticità, al di là dei codici della moda” spiega Francesco Morace.
Terzo grande paradigma è la cura, un bisogno prima di tutto psicologico ma dalle migliaia di implicazioni tanto comunicative quanto di consumo. È un valore che negli anni scorsi è venuto meno per effetto dell’affermazione di modelli di bellezza stereotipati, non sostenibili, che quindi generavano frustrazione e disagio. Questa visione è stata oggi superata dall’idea di benessere come ritualità quotidiana. “Lavorare sulla cura significa promuovere un nuovo rapporto tra corpo e mente, partire dalla ricerca scientifica e da nuovi principi attivi per arrivare a una shopping experience nella quale la rete, la dimensione virtuale, si affianca a quella reale. Le persone non scelgono tra lo shopping online e i negozi reali, ma fanno tutto ciò che è necessario per raggiungere la propria espressione di bellezza” dichiara Francesco Morace. Di contro il nucleo generazionale che continua a concentrare l’attenzione su se stesso, in modo narcisistico, è quello degli Unique sons, giovani dai 25 ai 40 anni che sono cresciuti con l’idea di bellezza e moda come strumenti per rafforzare la propria identità. Sono una tipologia di consumatori che continuano a esserci, soprattutto nei mercati emergenti. “In questo ambito la marca deve lavorare su un lusso che è alternativo e su testimonial che sono punti di riferimento, sulla ricercatezza formale e sull’unicità esibitiva, su luoghi e spazi che fanno uso di elementi della bellezza e della sensorialità. Si parla spesso di uomini, cui è necessario avvicinarsi utilizzando nuovi codici, puntare sul servizio e il rapporto personale” afferma Francesco Morace. L’ultimo paradigma è la qualità spazio temporale ovvero il rapporto con l’occasione di vita, non solo con lo stile di vita. I selfie sono la massima espressione di come l’esperienza si trasforma in un racconto personale e quindi in una memoria condivisa tramite lo sharing. “È necessario lavorare sui brand come laboratori di esperienza e di sperimentazione. In questo caso il nucleo generazionale cui guardare con attenzione è quello dei 20-40enni, i Linker people, coloro che producono continuamente contenuti perché sono sempre connessi e sono parte di una comunità molto ampia che sviluppa capacità creative di relazione diretta e veloce con il mondo esterno. È necessario sollecitare, per queste persone, forme di esperienza diretta in modo pratico e facilmente fruibile in modo che il consumatore racconti la sua esperienza e diventi testimonial diretto di quanto ha provato”. La ricerca ha presentato quattro nuclei generazionali, ma – come sottolinea Francesco Morace – ce ne sono molti di più. Ciò che conta è continuare a osservare e approfondire l’evoluzione dei consumi e degli stili di vita per cogliere nuove sfaccettature e possibilità di innovare di pari passo la concezione della bellezza.
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